Cervelli in fuga.

09.11.2020

L'educazione, dalle elementari fino all'università, è un investimento che lo stato fa sui giovani.
Costruire persone che un giorno saranno ai massimi vertici della finanza, politica, media e tutti gli aspetti della nostra società, un compito fondamentale.

Da molti anni ormai l'Italia è costretta a fronteggiare il problema dei cosiddetti "cervelli in fuga". Il fenomeno, conosciuto anche con l'espressione Inglese "human capital flight".

Il fenomeno della globalizzazione rende possibile studiare ed avere esperienze lavorative in una nazione diversa dalla propria e questo permette di ampliare le proprie conoscenze e capacità professionali; molti fra i migliori studenti italiani, però, preferiscono poi non rientrare in patria poiché ritengono di non poter ricevere offerte lavorative adeguate agli studi conseguiti. 

Poi il problema non è se un giovane sceglie di andare all'estero, o fare un'esperienza di studio, lavoro o di stage in un altro Paese: se ciò rappresenta un'opportunità, è sano. Ma se si tratta di una fuga obbligata invece, questo non può che essere considerato un fallimento.

          l'Italia non è un Paese per giovani? 

I dati parlano chiaro: i giovani italiani, se possono, partono. Sono moltissimi coloro che, ogni anno e ad un ritmo sempre più consistente, lasciano l'Italia per Paesi in cui vedono le proprie competenze riconosciute. 

L'Eurozona investe e crede maggiormente rispetto al nostro Paese.

I dati più preoccupanti riguardano quindi l'istruzione universitaria: se per quella primaria o secondaria le cifre italiane sono in linea con la media europea, la percentuale spesa per l'educazione terziaria non è nemmeno la metà della media europea. 

È difficile pensare che questi ultimi dati non siano connessi a quelli, altrettanto negativi, del numero di laureati italiani: solamente il 26,9% in Italia contro una media europea del 39,9%. Il 30% degli italiani all'estero ha però una laurea: coloro che decidono di intraprendere un percorso universitario decidono, in un secondo momento, di spostarsi. 

 La curva delle retribuzioni italiane tende a premiare secondo una funzione anagrafica: lo stipendio si alza in base all'anzianità aziendale, raggiungendo i suoi picchi tra i 55 e i 64 anni, compromettendo ulteriormente il riconoscimento dei lavoratori più giovani.

 In una società sempre più predisposta alla mobilità, quindi, il problema non sembra essere la fame giovanile di nuove e diversificate esperienze. Il doversi spostare si rivela invece spesso essere una scelta obbligata, simbolo della scarsa capacità di un Paese di trattenere i propri giovani. 

Vivi Libero, Liberate Oppression...

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